Marino Monti
Biografia e bibliografiaNato a San Zeno di Galeata (Fo) nel 1946, morto a Forlì nel 2022.
Ha svolto attività lavorativa come perito capotecnico nei settori produzione e progettazione. Si è incontrato con la poesia in età relativamente matura. I primi testi risalgono al 1990. Ha pubblicato diverse raccolte in dialetto romagnolo:
Sue singole poesie si trovano in diverse pubblicazioni. In particolare quelle pubblicate da «la Ludla» sono disponibili online:
da: www.dialettiromagnoli.it finalista nel 2015 e 2017 del Premio Ischitella |
Marino Monti Nota Aldo Spallicci 2002 Quent che la nôt la cala sora al spal e la m’vstès de su culor u s’sent cl’udor fresch che e’ chesca sora la tera scartuzeda int la guaza, e in che vuit dla calera u s’arponsa dagl’ombri coma pinsir intrugnì che d’int la testa i n’ s’ mov e in cl’eria basa sota a che zil senza una stela una lus l’ars-cera una finestra d’una ca luntân splida int un’ombra d’una nôt za paseda. Insen G. Villa. San Clemente 2013 Cvand che al stasón agl’arâfa l’istê a s’incaminé pr una strê nova. Cla lus la j ha parol dolzi ch’al s’infila int e’ cor. Una pês d’un dman zà pinsè. In cal seri indò che tot u s’svuita, cvand ch’e’ perd vigor la vita e u s’aramasa e’ bser dal nuval sora la ca, una lus incrispêda la bat ai vidar, coma gózal d’acva ch’al sgvela int la faza. I dé srè int e’ cör i ferma la vos d’j arcurd. Tot du insén a la finestra cuntent dla fadiga fata guardé la lona spicés int l’èra. Parôl sminghêdi Ischitella 2016 Parôl sminghêdi, ch’ al fiurés coma rósi a maz, int un zét che pianì pianì e’ va a murì. In che vuit, par dla dal parol za splidi, u j’è un sintir ad pinsir furt par srê che zerc dla mi vita. E’ savôr dla vita A m’afònd int e’ salut a la mi tëra, indò che i mi véc i m’ha insigné a caminé tra i cùdal ad arvultéi int e’ sóich dal stasón. Arturnarò a la mi ca sóich dop a sóich. In che zét dl’ónda di chémp par sintì e’ savôr dla vita Viazé Viazé int la memôria spustés int un bàtar d'óc par dé e stmân. Al fa pavura al robi ch'al muda che t'a n'i ten drì pó... piò gnit p r'avé pers la memôria. Tót u t'sócia u t'arvèna Quatar 'd mêrz A j ho mes al mi radis in cla tëra dura e soda carpêda da e' vent indò che e' parghé l'ha la gmira riznida. A j ho scriché i dent da e' fred sota la bura ch'l'ha insticlì al pscól. Adës in che zet padron dla câmbra, a brus la mi fasena e a scardaz la scrâna par no sintì a sbartucé int la rameta. |
Marino Monti Notte Quando la notte cala sulle spalle e mi veste del suo colore si sente quell’odore di fresco che si adagia sulla terra accartocciata nella rugiada, e nel vuoto della carraia si riposano le ombre come pensieri malati che dalla testa non si muovono e in quell’aria bassa sotto in cielo senza stelle una luce rischiara una finestra di una casa lontano sepolta nell’ombra di una notte già passata. Insieme. Quando le stagioni rapiscono l’estate ci si avvia verso nuovi orizzonti. Quella luce ha parole dolci che penetrano nel cuore. Una quiete di un domani già pensato. In quelle sere in cui si svuota tutto, quando perde vigore la vita e si accumula il peso delle nuvole sulla casa, una luce increspata batte ai vetri, come gocce di acqua che scivolano sul volto. I giorni chiusi nel cuore fermano la voce dei ricordi. Tutti e due insieme alla finestra contenti della fatica fatta guardare la luna specchiarsi nell’aia. Parole dimenticate – Parole dimenticate, che fioriscono come rose a maggio, in un silenzio che piano piano va a morire. In quel vuoto al di là delle parole già sepolte, c’è un sentiero di pensieri forti per chiudere il cerchio della mia vita. Il sapore della vita. Affondo nel saluto alla mia terra, dove i vecchi mi hanno insegnato a camminare tra le zolle a rivoltarle nel solco delle stagioni. Ritornerò alla mia casa solco dopo solco. In quel silenzio dell’onda dei campi per sentire il sapore della vita Viaggiare. Viaggiare nella memoria, spostarsi in un batter d'occhi per giorni e settimane. Spaventano le cose che cambiano velocemente la vita poi... più nulla in quel non ricordarsi. Tutto ti sottrae qualcosa ti porta alla fine Quattro marzo. Ho messo le mie radici in quella terra argillosa e soda, crepata dal vento dove l'aratro ha il vomere arrugginito. Ho stretto i denti dal freddo sotto la tramontana che ha gelato le pozzanghere. Ora in quel silenzio padrone della stranza brucio la mia fascina e scuoto la sedia per non sentire il rumore del saliscendi. |