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Tolmino Baldassari

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Tolmino Baldassari

Poesie tratte da Al rivi d’eria (una raccolta dell’ 86 pubblicata da IL PONTE, col commento di Franco Loi).

Le poesie prese in esame sono accomunate da un qualcosa che sotto molti aspetti le rende omogenee ……le concilia, e questa sorta di tramite si personifica nel vento, un vento che, tuttavia, alla luce delle sue specifiche prerogative di impeto e mutabilità, assume e incarna via via nei testi prescelti, significati e ruoli ben definiti e selettivi
Quello che si fa esplicito, in qualsiasi modo, è l’avvicendarsi nei componimenti in questione, di quegli attributi di irruenza, tenacia e per contro anche di imponderabilità e mistero, che in ultima analisi rendono il dilagare del vento una faccenda suggestiva, trainante e al tempo stesso insostituibile.
Proprio Al rivi d’eria, dunque, è titolo della prima poesia che non a caso funge anche quale copertina del libro da cui è tratta, e già dal titolo ci compenetra di un’atmosfera d'attesa gravida di silenzi e soggetta all’assenza\presenza di quell’aria che da sempre vaga inesausta sul mondo, un’atmosfera immota e del pari mutevole, compendiata in un amalgama di fattori essenziali al percorso della silloge, che paiono chiudere in forma  sintomatica nell’animo e negli intenti del poeta,  il cerchio di un arcano… di un sogno.
 
Al rivi d’êria
 A staṣen zet insen cun dal parôli
e bandiri giazèdi fèrmi int l’aqua
vèrda sânza vent

 us ṣluntâna caicvël ch’a n’en ciapê
râma fiurida int l’êria rôṣa
luṣ de’ mònd ch’la camena vèrs e’ bösch

 in so int al bêrchi i rid ch’i va a pèl d’aqua
j amigh chi tòrna indrì chè e’ ẓir l’è curt

 e l’è dalòngh che cânta e’ mèral
e’ ciâma int l’êria fresca dla matena
vapur chi dà un rispir nurmêl
in dòv che pasa un gnit
che zèrca al strêdi boni d’ètar temp
e l’èra e’ vent ad mêrz ch’e’ rispirèva


 un’êta vôlta e’ zet e’ bat dalòngh
int una stopia ch’la balena ẓala….


pruvì d’ciamê si fos incòra a lè
caicvël ch’l’èpa ṣmaṣè
una bulêda d’sòl in so int la cvèrta


 e d’nöta e’ bat j urloẓ

cumè l’òmbra dla fiâmba dla candèla
cun l’aqua ch’la va avânti a pidariul
cumè s’ui fos nenca stanöta e’ coch
in so int al rivi d’êria
 al vòṣi ch’al s’arduṣ int i ẓarden
l’aqua de’ mêr ch’la ṣbèsa sota i pi
e’ vent e’ vent che pasa e t’ai si d’dentar

 
Fin dall’inizio con quel “A stasen zet” che introduce la lettura, Tolmino ci fa intuire la rilevanza che posseggono per lui la quiete, il raccoglimento, l’introspezione.
Giusto il silenzio e quanto gli fa da scorta, infatti, può essere ritenuto un tratto distintivo della poesia e dell’intera raccolta, così come, del resto, l’ineluttabilità e la fuggevolezza del tempo concesso in dote all’uomo, un tempo che, concludendosi, sradica fatalmente da lui tutto ciò che egli non è stato veloce a interiorizzare… a far proprio (nella fattispecie quella râma fiurida int l’êria rôsa)…a far proprio, dicevo, nel corso di quel breve giro in barca che sembra alludere senza indugi alla caducità della vita umana.
Un verso dopo l’altro il poeta si compenetra in una sorta di personale e emblematica simbiosi con la natura che ci circonda, e che l’uomo, senza neppur rendersene conto, già allora (non scordiamo che la poesia risale agli anni ottanta) aveva preso ad oltraggiare senza remissione, a dispetto di quanto si lasciava degradato alle spalle, incluso il canto del merlo… inclusi… quei vapori che danno un respiro di normalità alle cose…  
Tutte concretezze oggettive, insomma, che egli, giovandosi di quel niente…ad che gnint che zèrca al strêdi boni d’ètar temp, bramerebbe individuare e recuperare tramite la poesia, indenni com’erano una volta.
Purtroppo il tentativo di riappropriarsi del passato, armonizzandolo di pari passo col presente, è destinata a rivelarsi alla stregua di una mossa disillusa ed utopica, e questo pur facendo appello alla riproposizione di circostanze ineluttabilmente trascorse che da sempre, comunque, paiono ben poco intenzionate a collaborare.
E nondimeno continuano di notte a battere gli orologi e l’acqua a far mulinelli come se ci fosse anche questa notte il cuculo sulle rive d’aria, attestando in sostanza che si possono sempre trovare vie di scampo alternative e consolatorie alla summenzionata carenza di collaborazione.
Determinante al sussidio, in ogni caso, quella presenza attiva, e dunque quel desiderio di non mollare, impliciti per buona sorte nei valori di fondo che fanno da cardine alla vita, impliciti nelle entità essenziali e concrete come quel vento, che fin dai primordi attornia e plasma la sostanza dell’uomo, suscitando e accrescendo in lui il desiderio di intraprendere sotto sua scorta l’itinerario senza riserve, un viaggio tutelato e sospinto da quel: e’ vent, e’ vent che pasa e t’ai si d’dentar,  in modo analogo a quanto facevano i navigatori d’un tempo che col vento e nel vento varcavano mari e oceani, magari portando a termine il giro del mondo.
 D'altra parte l’aria e il vento sembrano altresì in grado, per il poeta, di custodire e nascondere dietro di loro degli arcani che l’uomo è indotto, si, a vagheggiare… a rincorrere nel tentativo di svelarli, magari avvalendosi di scorciatoie che però, quasi compiacendo un suo impulsivo desiderio, per buona sorte non gli forniranno alcun vantaggio (u n’i farà guadâgn) in quanto, probabilmente senza rendersene neppur conto,  il suo vero auspicio… la sua reale aspirazione (al pari di quella d’ogni uomo, del resto) è appunto che questi arcani restino velati... sottintesi nel muoversi fortuito, misterioso e imponderabile dell’aria, permanendo in sostanza reconditi.
Reconditi e vagamente inquietanti .

 

A zarcaren fèn’a séra
 E’ bé ch’u s’inturdes int la curena

e int e’ rispir bóls dal ciṣi ‘d campâgna
armasti da par ló int e’ fê’ dla séra

sânza un’ ora pro nobis
e ‘d dentr e’ Signór griṣ dla sacristì
l’è int e’ scur d’un mur ẓal.


 A zarcaren fen’a séra

la luṣ ch’la ẓuga con l’òmbra dla róvra
e par fê’ prèma a ciaparen ‘d travérs
mo a n’i faren guadâgn.
Piò têrd ad nöta us sent e’ mònd cum ch’ l’éra
al piöpi lònghi al stresa in êlt la veta
la boza dj’élbar la diṣ una réchia
ad drida e’ vent u j’è quaicvël ch’e’ ṣmêṣa
 
La poesia di Tolmino, pur senza menzionare la morte in modo esplicito, da sempre è stata in intima relazione con la consapevolezza dell’aldilà, con l’istintiva adesione ai silenzi che gli fanno da scorta, con la contiguità a un mondo dei defunti che in vita, per un verso o per l’altro, avevano intersecato la propria esistenza con la sua.
E assieme al silenzio, di nuovo l’aria, e dunque il vento, compongono il tramite che congiunge e custodisce i due mondi altrimenti divisi: da una parte quello percepibile dall’uomo, dall’altra quello non materiale… incorporeo, in cui sembrano dormire le sembianze degli scomparsi, in un sonno tanto leggero da far pensare che possano sempre svegliarsi (e t’pinsares ch’is pö svigê' dmatena).
Ma ciò purtroppo non avviene, a dispetto che si insista…e si insista a chiamarli nella nebbia, senza però che le invocazioni trovino alcun riscontro, mentre il vento, sèmpar quel: perenne e senza confini, si fa portavoce e interprete di un dolore collettivo pervaso di nostalgia e di rimpianto.
 
I dôrma
 
I dôrma in tëra tot insem
e t’pinsares ch’is pö ṣvigê' dmatena
mo sól al rovri al s ṣmêṣa
tachêdi so int e’ zil

 e’ vent l’è sèmpar quel

e’ ṣbresa ‘d sfiânch dla bota pina ‘d giaz
int e’ canton la ca
 
prôva d’ciamê’ int la nebia
vóṣa ch’la n trôva e’ fònd
e’ ṣbat al pôrti

 cum’a sarebla adës la Nini?

 
 
L’érba int al brazi
 
Cs’a vu ch’a i dges a e’ vent
stulghê int e’ fos
l’érba int al brazi
j oc int e’ zil ch’is perd
int un quaiquël ch’un fnes?


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Annalisa Teodorani

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